Alla fine di dicembre si è svolto un Consiglio Provinciale per l’approvazione del documento di previsione 2014, durante il quale una parte del patrimonio immobiliare della Provincia è stata messa a bilancio.
Il capogruppo di Rifondazione comunista Alberto Ferrigno ha proposto di destinare alcuni di questi immobili a persone in emergenza abitativa, anziché venderli. Questa proposta è stata bocciata mentre è stata approvata quella del consigliere PD Simone Beghi che propone di riservare la casa cantoniera in via Martiri della Bettola (Casa Bettola) per associazioni che svolgono volontariato con persone che dormono in strada.
E’ ora nostra intenzione prendere parola in merito alla discussione sviluppatasi in Consiglio Provinciale. Riteniamo di doverlo fare in modo chiaro e articolato, senza lasciare spazio a semplificazioni, vista la complessità della questione abitativa nella nostra città. Con questo primo documento vogliamo andare alle radici del problema, convinti che per garantire il diritto alla casa per tutte e tutti sia necessario cambiare l’esistente in modo radicale.
In un secondo documento, che invieremo nelle prossime settimane, esporremo le ragioni della nostra contrarietà alla vendita della casa cantoniera, tanto quanto ad una convenzione usuale; e come invece sia nostra intenzione costruire una terza possibilità oltre il privato e il pubblico: il riconoscimento dello spazio come bene comune, basato sulla gestione diretta dal basso.
Case senza persone e persone senza casa
Negli ultimi anni si notano sempre più case vuote e aumentano le persone senza casa, uomini e donne che dormono per strada su un letto di giornali o che trovano rifugio proprio in uno dei tanti edifici abbandonati.
Dietro questo paradosso ci sono politiche che negli ultimi decenni hanno allargato lo spazio del mercato e ristretto lo spazio dei diritti; scelte che, attraverso processi di liberalizzazione e privatizzazione, hanno sempre di più redistribuito la ricchezza e le opportunità verso l’alto, scaricando i costi sociali e ambientali verso il basso.
La città è uno degli scenari in cui questi processi sono più evidenti. Dove beni comuni e spazi pubblici vengono espropriati per l’accrescimento del capitale privato; dove diritti universali come la casa vengono sottratti, in modo che diventino una responsabilità individuale invece che una responsabilità sociale.
Case senza persone
Si stima che a Reggio Emilia ci siano migliaia di case vuote. Come è possibile?
Una prima risposta si trova nel modello di sviluppo che ha caratterizzato il territorio negli ultimi decenni. In un breve periodo il paesaggio della città è stato stravolto attraverso una forte espansione edilizia che non corrispondeva ad un reale bisogno abitativo; negli ultimi trent’anni il suolo urbanizzato è più che raddoppiato e nei primi 5 anni del piano regolatore del 1999 si è costruito il corrispondente numero di immobili sorti a Bologna in 10 anni. Molte di quelle case sono tutt’ora vuote, proprio perché sono state edificate non per garantire il diritto all’abitare, ma innanzitutto per tutelare profitti ed interessi privati.
Nel frattempo queste rapide trasformazioni del territorio, oltre ad avere un impatto forte sulle comunità e gli ecosistemi locali, hanno anche aperto le porte alle cosche mafiose, introducendo nuove forme di schiavitù nei cantieri.
Una seconda risposta alla domanda si trova nella rendita immobiliare. A Reggio Emilia ci sono alcuni grandi proprietari, con un patrimonio talmente consistente da aver bisogno di diverse agenzie immobiliari per poterlo gestire. Queste agenzie dettano il prezzo degli affitti secondo la logica della rendita; meno appartamenti ci sono sul mercato, più il prezzo può essere alto. In altre parole i grandi proprietari tengono una parte del loro patrimonio sfitto, perché più la casa è un bene scarso e più cresce il suo valore come merce sul mercato.
Persone senza casa
L’emergenza abitativa diventa sempre più percepibile in città. Sono aumentate le persone che cercano riparo sotto portici e davanti a portoni. Ma questo è solo la parte visibile di un problema più ampio; tanta gente senza casa vive in luoghi nascosti dalla vita cittadina, come fabbriche dismesse o edifici abbandonati in periferia, ma soprattutto tante persone che hanno perso la casa dopo lo sfratto o il pignoramento hanno lasciato la città per tornare nel paese di origine.
Come è possibile che così tanti cittadini siano rimasti senza casa? Pensiamo che per comprendere tutto questo sia necessario considerare le profonde ristrutturazioni politiche ed economiche che hanno ridisegnato la società negli ultimi trent’anni: il welfare è stato ridimensionato, i salari sono stati tenuti stabili o addirittura diminuiti e le forme contrattuali sono diventate più precarie.
Nel contesto di queste politiche neoliberiste tanti vincoli che tutelavano la collettività sono stati rimossi. Nel 1998 il governo D’Alema ha abolito l’equo canone, che garantiva un prezzo più equo dell’affitto, liberalizzando di fatto il mercato. Da quell’anno in poi i prezzi degli affitti sono arrivati a pesare oltre il 60% sul salario, rispetto ai circa 30% di prima. Questo ha offerto nuove opportunità alle banche che nei primi anni 2000 hanno iniziato ad immettere mutui a tasso fisso e variabile, con rate mensili inizialmente inferiori agli affitti e con la prospettiva illusoria che dopo 20 o 30 anni si diventava proprietari di una casa. Da una parte questo ha significato nuove libertà per la speculazione finanziaria e immobiliare e dall’altra nuova subordinazione per migliaia di persone che si sono trovate con un debito in mano al posto delle chiavi di una casa.
A Reggio Emilia, nel contesto della crisi, migliaia di famiglie si sono viste private del diritto alla casa, senza risposte adeguate da parte delle amministrazioni; in più, le contraddizioni del sistema welfare reggiano sono diventate sempre più evidenti: chi non ha un reddito sufficiente rimane escluso dalle graduatorie per le case popolari; chi perde la casa perde anche la residenza e rimane escluso dal diritto di cittadinanza, non potendo più accedere a un medico di famiglia, a un lavoro in regola o a un eventuale contratto di affitto. Infine, in un periodo in cui le liste di attesa per le case popolari sono aumentate, il numero di alloggi di residenza pubblica invece è diminuito.
Il costo sociale di queste politiche è altissimo: aumentano le persone impoverite, senza casa, senza diritti, senza possibilità di una vita degna.
Recuperare le case per recuperare diritti e dignità
Per superare questo paradosso e garantire il diritto alla casa per tutti e tutte pensiamo sia necessario capovolgere il modello di sviluppo della città e del territorio, fermare il consumo di suolo recuperando il patrimonio immobiliare esistente; crediamo sia inoltre necessario riconvertire gli immobili confiscati alla malavita in uso abitativo o sociale, bloccare gli sfratti esecutivi e riconoscere la residenza di tutte le persone senza casa per poter accedere ai servizi sociali e sanitari.
In uno scenario in cui le ingiustizie sociali ed ambientali letteralmente tendono ad essere cementificate sul territorio, vogliamo costruire un’altra città e pensiamo sia possibile incominciare già oggi: occupando le case vuote per recuperare spazi e diritti sottratti, creando welfare dal basso attraverso nuovi reti solidali, riappropriandoci della possibilità di decidere come costruire la città secondo i nostri bisogni e sogni collettivi.
Proviamoci insieme!
Casa Bettola
Per leggere il Comunicato di Consiglio Provinciale del 19 dicembre 2013